TRA ORIENTE E OCCIDENTE...
Se, invece, si esprime in termini di felicità, bisogna allora riconoscere che lo stato di depressione e di tensione cronica, in cui riversano le società super industrializzate, costituisce una sonora sconfitta, cui non sappiamo rispondere che con una sempre maggiore e crescente agitazione nevrotica, o con un massiccio uso di tranquillanti.
L'Oriente, ci lascia intravedere una soluzione ben diversa: il raggiungimento di una felicità incontrastata, di una pienezza intima e di una libertà interiori che derivano da una dimensione diversa dell'essere, che si pone al di là degli opposti.
Il raggiungimento di questo fine dipende solo da noi.
Molti pensano: "Come si può raggiungere la pace, la serenità, il centro immutabile di noi stessi, quando abbiamo la mente, il cuore e il corpo sempre travagliati, tormentati, molestati da rumori lancinanti, da vibrazioni convulse, dall'eco dei cataclismi, insomma da tutto ciò che offre continue esche al terrorismo, al sadismo, alla megalomania, alla demenza organizzata, all'apocalisse imminente? Anche volendo è impossibile...".
Difatti, ci limitiamo a tributare una sorta di rispetto, invidia o venerazione, per quei fortunati che possono beneficiare di quegli insegnamenti, che crediamo realizzabili soltanto sulla riva del Gange, o in vetta all'Himalaya, mentre qui dobbiamo essere realistici, pensare ai cambiamenti che corrono: le cambiali da pagare, le tasse che aumentano, lo spettro della disoccupazione, i figli da allevare...; quante paure ci angosciano!
No, non ci interessa proprio sentir parlare di felicità suprema, non dipendente, di coscienza trasformata e, poi, che sarà mai, la Liberazione!?!!
Assolutamente non vediamo via d'uscita..., oppure, non vogliamo vederla? E se la soluzione fosse già qui a portata di mano, anzi di pensiero?
Alla fin fine, anche se non sulle rive del Gange, ma qui, tra mille condizionamenti, la ricerca dell'eternità non costituisce forse il solo e autentico relismo, dal momento che è la morte l'unica nostra certezza?
Forse varrebbe la pena provare, tentarci almeno.
Il Vedanta, contrariamente ad altre discipline, non esige nè esercizi fisici faticosi, nè rituali più o meno complicati, nè periodi di prolungato isolamento, ne speciali schemi esistenziali. La prima grande attività consiste nell'essere vigili, (12) cioè coscienti, sia di ciò che ci circonda, sia di ciò che avviene dentro di noi.
La vigilanza consiste in uno sguardo completamente neutrale, pacato, aperto, che è lo sguardo del puro testimone, del puro spettatore; grazie ad esso possiamo discernere con chiarezza sia ciò che ci succede intorno, sia le nostre reazioni. Si tratta di vedere la vita, anzichè pensarla soltanto in funzione dei nostri criteri, dei nostri pregiudizi, delle nostre pulsioni, delle nostre aspettative e del nostro Ego. Poichè non vengo più continuamente afferrato dalle cose e dalle mie reazioni di fronte ad esse, io acquisto un centro di gravità. Nello stesso tempo, quale testimone globale dei diversi processi che compongono il mio essere fisico, mentale ed emozionale, mi pongo in uno stato di coscienza unificata della realtà, anzichè essere spezzetato, diviso in un gran numero di pulsioni anarchiche e contraddittorie.
Il problema maggiore consiste dall'estrema difficoltà di mantenere la vigilanza.
In noi, la capacità di vigilare è una facoltà del tutto naturale, che diventa spontaneamente molto acuta in occasione di un avvenimento eccezionale, come, ad esempio, un incidente d'auto, un incontro amoroso importante, ecc. Sono istanti dei quali conserviamo un ricordo indelebile, perchè ci hanno pienamente risvegliati all'istante presente. E' noto che, nel corso di un'azione, non abbiamo il tempo di provare dubbi e apprensioni, e che, concentrati in una pura attenzione cosciente, aderiamo perfettamente e adeguatamente allo svolgersi degli avvenimenti in corso.
Il mentale, infatti, proietta le sue angoscie soltanto prima e dopo, mai durante.
Se ogni istante della nostra vita ci sembrasse, quindi, straordinario, eccezzionale, riusciremmo a mantenere in modo spontaneo e naturale, senza sforzo, una vigilanza costante, una coscienza risvegliata e unificata, che non è più coscienza di sè, ma coscienza del Sè, realizzazione del Brahman e Liberazione.
I maestri dell'India ci rimproverano così: "Ogni istante della vostra vita è un appuntamento mancato con la meraviglia che non ha limiti. E' possibile essere felici, ma non come credete voi. La felicità suprema la portate in voi stessi, nella profondità del vostro essere. Se ne siete perpetuamente esiliati è perchè vi aggrappate di continuo a felicità illusorie. Non dovreste far altro che essere, coscientemente, voi stessi; vi basterebbe prendere coscienza di quello che siete realmente...".
Il lavoro interiore può essere effettuato in ogni momento e in ogni circostanza. Esso consiste nell'operare su se stessi per arrivare a distruggere quei meccanismi interiori, estremamente sottili ed ingannevoli, che ci mantengono in un'illusione onnipotente e ci impediscono di accedere alla nostra naturale beatitudine.
Questo grande lavoro su se stessi, che consiste nella distruzione del mentale, nella pulizia dell'inconscio e nell'erosione delle domande (13), andrebbe fatto sotto la guida di un maestro, di un guru, che abbia già superato il proprio Ego e sia in uno stato di assenza dello stesso, che caratterizza il liberato vivente.
Siccome è più facile trovare una navicella spaziale, pittosto che un'individuo di questo calibro, ripieghiamo su una figura, a lui molto simile, tipica della nostra società: lo psicoterapeuta. Esiste, in effetti, una certa affinità fra il guru e quest'ultimo, assieme, però a una differenza sostanziale.
IL RUOLO DELLO PSICOTERAPEUTA consiste soltanto nell'aiutare i suoi simili a vivere meglio, o meno peggio, all'interno della loro cella; raramente egli tira in ballo la funzione dell'Ego e la sua alienante realtà, perchè non suppone, neppure lontanamente, che sia possibile liberarsene. Per il guru sentirsi un po' meglio, o un po' peggio, nella propria prigione è qualcosa di insensato. Giustamente si ritiene che lo psicoterapeuta e il guru abbiano una conoscenza approfondita e dettagliata dello spazio mentale, ma mentre il primo utilizza questa conoscenza tentando di renderci sopportabile il labirinto (mentale) nel quale ci siamo smarriti, il secondo ci invita a uscire, a disertare definitivamente questo luogo di tormento.
Un'altra grande differenza è che il guru, al contrario dello psicoterapeuta, ha tagliato una volta per tutte, nel fondo del suo essere, il nodo gordiano delle tensioni, dei conflitti e delle angosce, e non verrà mai più coinvolto e afferrato dalle emozioni (14), dai desideri e dalle paure del discepolo, comunque non più di un padre o di una madre a cui il figlio racconti i suoi incubi notturni. La sua perfetta trasparenza e neutralità gli permettono un ascolto,una pazienza e una disponibilità illimitati e, poichè non si aspetta nulla in cambio, il dono completamente libero e gratuito, che egli fa di sè, può ben essere definito amore. Come già detto, però, non è più molto facile trovare guru, santi ed eroi oggigiorno. Come fare quindi? SAI BABA risponde così (15): "Lasciate che sia Dio a portare il vostro carico. Affidatevi a lui solo. Non lo cercate" però " fuori, perchè Egli risiede in voi, nel vostro essere più profondo. Non enfatizzate le differenze fra le religioni. Comunque voi lo chiamiate, Gesù, Allah, basta solo un vostro piccolo gesto d'Amore, perchè Egli vi sia vicino. Egli è sempre al vostro fianco, anche se voi non lo sentite, e vi segue, stando dietro di voi, anche quando ve ne volete allontanare. Abbiate fiducia in Lui, e in lui solo"; "Quantunque un uccello in alto possa volare, prima o poi deve fermarsi su un ramo per riposare. Così anche l'uomo, per quanto insista nel negare la Sua esistenza, prima o poi deve tornare a riposare in Lui"; "L'unica forza di cui l'uomo necessita è la pazienza".
Sai Baba si avvicina più, quindi, al Bhakty-yoga (16) che altro, senza però rinnegare l'importanza delle altre due vie: "L'uomo deve avvalersi sia dell'uno che dell'altro", a seconda delle necessità" per progredire sul cammino spirituale". Per quanto riguarda, invece, lo yoga classico, egli sconsiglia certe pratiche, perchè le ritiene pericolose e propone, al loro posto, una via più facile, ma non per questo meno valida, per raggiungere Dio, da lui chiamata la "via maestra". Essa consiste nella "meditazione sulla luce": fissando la fiamma di una candela o, in mancanza, immaginando un punto luminoso al centro della propria fronte, si cerca di realizzare la Divinità, associandola a quest'ultima; facendo entrare, mentalmente, la luce, nel proprio corpo, ci si purifica pian piano dalle impurità in esso presenti, ed, estendendola poi nell'ambiente circostante, si purifica anche quest'ultimo. Visualizzando, infine, la luce nei propri cari, in tutto il mondo ed estendendola anche ai nemici, si realizza in pieno l'Unità di tutti gli esseri e di tutto il creato, cioè che Dio è in tutto e in tutti. Così, il male non può più sopravvivere, nè in noi, nè negli altri (17). Ci si sente completamente rinnovati dopo questo "bagno di luce" e pieni di forza. Sai Baba asserisce che è per merito dell'energia divina, insita del cuore dell'uomo,che finalmente trova sbocco all'esterno (non è cioè soffocata dai condizionamenti del falso io, l'Ego).
Col tempo, questa pratica porta a una radicale trasformazione interiore, che rende la persona sempre più attenta alla voce interiore divina. Molti asseriscono di essere riusciti ad arrivare, in pochi anni, a livelli di sapienza è beatitudine, che taluni yogin, o eremiti isolati, dicono esser riusciti a raggiungere solo dopo molti anni di dure e rigide discipline ascetiche.
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(12) Di vigilanza parlavano anche Gesù:"Siate sempre vigili, perchè non sapete quando arriverà
il regno del padre mio" e Buddha, che, prima di morire, riassunse tutto il suo insegnamento
in questa raccomandazione: "Fate con vigilanza!"
(13) Gli sciamani sostengono, similmente, la necessità di interrompere quel che loro chiamano
il "dialogo interiore", per arrivare a cambiare gli stati coscienziali.
(14) E' ciò che gli psicologi chiamano contro-transfert.
(15) Come già similmente Buddha, in punto di morte, ai suoi monaci: "Siate come delle
lampade per voi stessi. Non cercate rifugio fuori, se non in voi stessi e nella legge
(dharma)".
(16) Non a caso molti credono che un'altra delle sue incarnazioni, oltre a quella di Shirdi, sia
stata quella del poeta e mistico Kabir (lo abbiamo già citato a proposito del Sikhismo),
illustre esponente del movimento bhakta, il quale predicava che l'unico fine dell'uomo
dovesse essere quello di servire Dio con immenso amore e fiducia, e che lottò,inoltre,
tenacemente contro la divisione fra indù e mussulmani.
(17) Il male è anch'esso frutto dell'illusione, in realtà non esiste: esiste solo Lui, ovunque e
dappertutto, e Lui è Amore, percui Tutto è Amore...
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