e) Il Giainismo.
Chiamato anche Jainismo, i seguaci sono chiamati jaina (sanscrito) da Jina (il vincitore), l'appellativo dato a Vardhamana, colui il quale fondò questa corrente mistica, ed appartengono per lo più alle classi alte dell'India e a circoli più o meno esclusivi: ciò spiega la grande influenza che essi esercitano sulla società indiana, nonostante ne costituiscano solo lo 0,5%.
Vardhamana, chiamato anche Mahavira (grande eroe), nacque da una coppia di nobili (ksatriya) e, dopo essersi sposato, a 28 anni lasciò la moglie e la figlia per dedicarsi alla vita religiosa itinerante e a rigide pratiche ascetiche. Fu all'età di 40 anni che venne salutato come Jina, titolo conferito alle più grandi figure della storia spirituale indiana. Cominciò a raccogliere attorno a sè numerosi discepoli e intraprese lunghi pellegrinaggi, dedicandosi alla predicazione.
Egli riprese l'insegnamento di un altro maestro jaina (il 23°), vissuto prima di lui, rispetto al quale è considerato, infatti, il 24° e ultimo.
La concezione giainista dell'universo è vicina a quella dualista del sistema Samkhya, da cui si distingue, però, per l'idea che ha di anima: nel dualismo giainista essa non è un principio inattivo, come invece purusha.
Questa corrente, inoltre, è vicina anche al Buddhismo: anch'essa rigetta i Veda e l'autorità sacerdotale, anch'essa è ateista (non concepise cioè un Dio unico, un Assoluto, ed anche gli dei sono soggetti al karma e al samsara). Per quanto riguarda, però, la durezza delle discipline ascetiche, se ne distacca e si avvicina di più allo yoga classico.
Attraverso i tre gioielli, retta fede, retta conoscenza, retta vita, è possibile superare la legge del Karma e il samsara. La concezione di Karma, però, è, rispetto ad altre correnti, molto particolare: il Giainismo è il primo a parlare di Karma-materia. L'anima, a causa delle passioni non controllate, lascia sì che la materia sottile, di cui queste sono costituite, si appiccichi a sè (legatura). Questa materia sottile, poi, va a costituire 8 tipi di Karma, che oscurano e disturbano la capacità conoscitiva e l'integrità dell'anima stessa, che è costretta a rinascere sotto l'impulso del corpo karmico (energetico). Per ciò, Jina afferma che le passioni vanno tenute sotto controllo, in modo tale da impedire l'entrata, nell'anima, del karma, il quale si estingue da sè, ma in modo più veloce se l'uomo compie duri esercizi ascetici. L'anima liberata conserva la sua coscienza (qui differisce sostanzialmente col Buddhismo), possiede inoltre conoscenza infinita, forza e gioia, e va a dimorare in un luogo al di sopra dei cieli, con altre anime liberate.
L'etica giainista è regolata da 5 voti:
1) ahimsa, assoluta non violenza e rispetto per qualsiasi forma di vita;
2) sincerità;
3) rispetto per la proprietà altrui;
4) castità;
5) non attaccamento ai beni materiali.
Per la comunità monastica è obbligatorio attenersi a tutti e 5, mentre per i laici, gli ultimi due sono facoltativi. Comunità monastica e popolo laico sono stretti da un legame inscindibile. Solo i laici, infatti, possono tributare il culto a Jina.
Verso la fine del 1°sec. d.C., causa divergenze interne alla dottrina, la comunità dei jaina, come capitò anche ai buddhisti e ai sikh, si scisse in numerose correnti.
Le più importanti sono due: i Digambara (letter."vestiti d'aria"), più conservatori, e gli Svetambara (sanscrito:"vestiti di bianco").
La rigorosa osservanza del primo precetto (ahimsa) ha influenzato nel corso dei secoli, e influenza tuttora, ogni aspetto della vita, anche professionale, dei jaina. Poichè vengono considerate forme viventi anche le particelle degli elementi di base (terra, aria, acqua), ai seguaci del Giainismo è preclusa tutta una serie di attività lavorative: la maggior parte si è dunque indirizzata verso attività commerciali o di tipo accademico, il che spiega come mai vi siano tanti giainisti di successo e con ricchezze, in campo finanziario e commerciale. In quello politico, invece, sono tradizionalmente di vedute liberali.
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