31/01/09

L'INDIA


L'INDIA

LA STORIA: Sulle origini della civiltà indiana non si sapeva nulla fino al 1924, data in cui, nel corso di scavi archeologici effetuati nella valle dell'Indo, sono venuti alla luce i resti di quattro antiche città, risalenti al 3000 a.C.. Si scoprì così che già in quell'epoca remotissima vi era, in India, una fiorente civiltà, con un perfetto sistema di fognatura, pozzi e case in mattoni munite di stanze da bagno. Quando, verso il 1800 a.C., gli Ariani invasero la penisola indiana dovettero, quindi, trovarvi una popolazione già molto progredita. Era quella dei Dravidici, uomini di pelle bruna, con naso molto largo e capelli piuttosto ricciuti, i cui discendenti si trovano, ancora oggi, nella parte meridionale dell'India e in quella settentrinale dell'isola di Ceylon. In successive ondate, che si conclusero verso l'anno 1000 a.C., gli Ariani si amalgamarono in modo piuttosto pacifico a queste popolazioni (assimilandone la religione e la civiltà) e se ne venne formando così una nuova: quella indo-ariana. Un'innovazione che essi portarono fu la loro rigida gerarchia tripartita, da cui trassero origine le caste.

A cominciare, però, dal 6°sec. a.C. ripresero le invasioni straniere: durante il periodo, compreso tra il 6°sec.a.C e il 5° sec.d.C., giunsero successivamente i Persiani, Greci, gli Sciiti e gli Unni. Per oltre tre secoli (dalla fine del 7° all'11°sec.d.C.) gli indiani fecero fronte con successo ai tentativi d'invasione da parte degli Arabi, ma a cominciare dal 1000 d.C. un altro popolo mussulmano, quello dei Turchi, riuscì a stabilirsi nelle regioni dell'India settentrionale. Contro questa dominazione si ebbero parecchie insurrezioni da parte di alcuni principi indiani, ma nessuna di esse riuscì a scacciare il popolo invasore. I Turchi restarono fino al 16°sec., quando tutto il paese cadde sotto la dominazione mongola. Questa, che coincise con il periodo più florido della storia del paese, si protrasse fino al 18°sec., quando il Grande Impero Mongolico cominciò a suddividersi in numerosi staterelli in lotta fra loro. Numerose potenze europee, allora, furono attratte da questa nuova situazione e la Francia prima, l'Inghilterra poi, occuparono questa terra. Gli Inglesi divennero, pian piano, i padroni assoluti della regione e solo nel 1947, grazie a Gandhi e ai suoi seguaci, concessero la libertà.

Oggi l'India è un'Unione Republicana, composta di 13 stati e 6 territori. Il capo dell'Unione è un presidente, che dura in carica 5 anni. Egli nomina un Governatore per ciascuno Stato ed amministra egli stesso i territori. La Republica Indiana è democratica: ciascuno stato ha un proprio parlamento. Vi è poi un parlamento dell'Unione.

LE CASTE: All'inizio vi erano solo 4 caste.
- brahmani i sacerdoti
- ksatriyas i guerrieri
- vaishyas i commercianti
- sudras i lavoratori
Al di sotto di ogni casta, stavano poi i paria, di condizione così
misera da essere chiamati "intoccabili".

Col trascorrere del tempo esse si moltiplicarono ed ultimamente ve n'erano più di tremila.

Con l'entrata in vigore della nuova costituzione, vennero abolite; ma gran parte del popolo, per tradizione, continua a rispettare tuttora queste divisioni.

I RITI: I bambini indiani di religione brahamanica ben difficilmente piangono durante la cerimonia del "rito delle nascite", corrispondente un poco al nostro battesimo. Il perché è facile da capirsi: invece di mettere in bocca ai piccoli del sale, (2) come si usa da noi con i battezzandi, si fa assaggiare loro, con un cucchiaio d'oro, del miele con burro fuso.

Questo dolce rito è una delle cerimonie fondamentali degli indiani, di cui altre sono:

- la prima uscita di casa,
- il primo nutrimento solido,
- il primo taglio dei capelli, ecc.

Tutte queste "consacrazioni" avvicinano continuamente la religione alla vita civile. Nonostante l'India sia uno dei paesi più industrializzati dell'Asia, a fianco della sua moderna economia coesistono tranquillamente le usanze e i modi di vita tradizionali.

A un'età variabile, secondo le caste, fra gli 8 e i 24 anni ha luogo "l'iniziazione": il giovane viene affidato alle cure di un maestro spirituale perché impari i Veda e resta con lui fino al momento di sposarsi.

Il rito del matrimonio si svolge presso il fuoco sacro, che non deve mai spegnersi in nessuna casa. Divenuto capo famiglia, il giovane presiede ai riti domestici: fa le quotidiane offerte agli dei e agli spiriti degli antenati, recita i testi sacri, si occupa del culto dei morti, ecc.

Tuttavia, alcuni riti possono venir eseguiti solo dai brahamani, gli unici a conoscere l'arte e i segreti di alcune complicate cerimonie. Si fa ricorso a loro, per esempio, per scacciare i demoni, guarire i malati, procedere ad un funerale, ecc.

I cadaveri vengono cremati, solo quelli degli asceti e dei bambini
al di sotto dei due anni si seppelliscono. (3)

L'indù, quando si sente prossimo alla morte, cerca di raggiungere la città santa di Benares per lavare i suoi peccati nel sacro Gange. I morti vengono bruciati sulla sponda del fiume e le loro ceneri disperse nell'acqua.

Gli induisti suddividono l'esistenza in quattro grandi tappe. La prima è il periodo durante il quale l'adolescente si consacra allo studio sotto la guida di un maestro (guru). La seconda, invece, è quella in cui l'individuo gioca il suo ruolo nella società, formandosi una famiglia, ecc. La terza lo vede, assieme alla propria consorte, ritirato dal mondo e impegnato a meditare sulle eterne verità della tradizione. Nella quarta, infine, egli si stacca anche dalla moglie e cerca di raggiungere la liberazione da ogni vincolo fisico e mentale.

GLI DEI: La dottrina politeista dell'Induismo deriva dalla primitiva adorazione di divinità naturali, tribali. E' stato calcolato che il numero di divinità, tra dei è semidei, si aggira intorno ai 330 milioni, ma le perincipali restano Shiva, Visnu e Brahma, che assieme costituiscono la trimurti. Essi rappresentano, rispettivamente, l'aspetto distruttore, conservatore e creativo del Brahman, al quale restano subordinate.

LE LINGUE: parlate in India sono numerosissime, circa 1500 fra derivazioni e dialetti. Si suddividono in dravidiche e indo-arie. Del primo gruppo fanno parte il tamil e il telegu (4); del secondo l'hindi, e il sanscrito. Le due ufficiali sono: l'hindi e l'inglese.



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(2) Il Battesimo un tempo veniva conferito agli adulti. Il sale è il simbolo della sapienza, inoltre
è un composto chimico importantissimo per l'alimentazione. Gli antichi, benchè non ne
conoscessero le proprietà chimiche, avevano intuito la grande importanza del NaCl.

(3) Sarebbe interessante studiare il significato dell'incenerimento e dell'inumazione presso gli
Indiani, tuttavia si può intuire il significato della differenza di trattamento.

(4)
Quest'ultima è la lingua madre di Sai Baba. Egli, però, parla bene anche l'Inglese, e l'Hindi.

b) Il Tantrismo.

b) Il Tantrismo.

Si tratta di un culto molto particolare.

La sua origine è data dal fatto che, a un certo punto, le popolazioni autoctone dell'India sentirono l'esigenza di andare contro la religione ufficiale del Brahmanesimo, contro la casta dominante degli Ariani. Nacque così il Tantrismo, o sarebbe più esatto dire risorse?

Le sue origini, in effetti, non sono ancora del tutto chiare. La dottrina appare ufficialmente verso il 4°sec. d.C., con la pubblicazione dei Tantra, i testi sacri in cui è racchiuso il sapere di questa disciplina esoterica. Molto probabilmente, però, questi testi riassumono una tradizione e un insegnamento tramandato, per via orale, da secoli.

Le ricerche archeologiche effettuate nella valle dell'Indo inducono a pensare si tratti di un culto molto antico, soffocato poi dagli indo ariani. La casta dominante dei brahmini ostentava, infatti, un sovrano disprezzo per questa pratica, che denunciava come un'eresia.

Il Tantrismo sembra essere, insomma, un culto antichissimo, più o meno soffocato durante l'apogeo culturale del Vedismo, ma che seppe approfittare di un suo momento di indebolimento per risorgere nuovamente.


Interessante è notare come ci siano stupefacenti convergenze tra questa dottrina, le sette gnostiche, ermetiche e l'alchimia greco egiziana. Per esempio, comune alla Gnosi (5) e al Tantrismo, è il concetto di caduta dell'energia nella materia.

Al centro della celebrazione del culto tantrico vi è una grande Dea, discendente incontestabile delle più antiche credenze dell'umanità. Nota come la Grande Madre, dea protettrice della fertilità e fecondità, le popolazioni agrarie arcaiche le attribuivano una venerazione quasi assoluta.

La singolarità del Tantrismo fu di onorarla, a volte con sacrifici umani, nelle sue manifestazioni più terrificanti, distruttrici, sanguinose. Alcuni avanzano l'ipotesi che questa rappresentazione servisse a spingere i fedeli a trasgredire i divieti e i riti ufficiali. Infatti, questa pratica propone di raggiungere la realizzazione spirituale attraverso un cammino "a rovescio", che andava contro tutti i divieti e i preconcetti del culto ufficiale del Vedismo. Malgrado il successo che ebbe negli strati popolari, rimarrà un insegnamento segreto, per molto tempo fuorilegge. Forse perché soppiantato da altre correnti di pensiero, come per esempio il Bhakti yoga.

Le vie che conducono alla liberazione insegnate dai Tantra sono due:

- la via della mano destra e
- quella della mano sinistra.

Entrambe si propongono di operare una sorta di ricongiungimento dell'energia (prakriti) col principio primo della realtà (purusha), ma mentre la prima segue un'ascesi di tipo yogico, la seconda utilizza l'energia derivante da un rapporto sessuale per farlo.

La realtà secondo il Tantrismo, ma anche secondo l'Induismo, è costituita da due principi: la coscienza (purusha) e l'energia (prakriti). Questa, a seconda che sia più o meno sottile, si differenzia a sua volta in tre aspetti: Tamas, Rajas e Sattva, detti le tre guna.

A seconda che prevalga uno, piuttosto che l'altro, la realtà muta:

"La competizione delle guna costituisce la realtà invisibile, produttrice dei fenomeni visibili"
.

Sattva
è l'energia che tende a riunire, ad andare verso l'alto, ad accentrare. E' una forza centripeta.

Rajas, invece, è l'energia che rimescola, rotea, stimola.

Infine, Tamas è la massa che tende ad appesantire, a far discendere. E' una forza centrifuga.

Applicati agli stati di coscienza:

- sattva tende a favorire la meditazione,
- rajas il movimento, l'attività e
- tamas, infine, il torpore, la pigrizia, l'illusorietà.

Lo yoga tantrico mette a profitto la potenza rajasica, in modo da servire l'elemento sattvico, mentre il tamas si diluisce e si disgrega a poco a poco. Così il purusha, riassorbendo in sé tutta l'energia, è liberato.

I tantristi identificano il purusha con il Dio Shiva e la prakriti con l'energia divina, la Shakti (noi diremmo lo Spirito Santo). In tal modo, hanno fatto scendere questi due concetti astratti letteralmente nel corpo umano: Shiva-purusha è la coscienza individuale, mentre Shakti-prakriti l'energia di cui è costituito il corpo.

Gli adepti della via della mano destra utilizzano particolari tecniche (mantra, yantra, mudra, asana, lingam) per cercar di risvegliare in loro Kundalini (ovverosia la Shakti allo stato puro, sattvico), l'energia assopita come un "serpente avvolto tre volte e mezzo su se stesso" sulla base della colonna vertebrale.

Quelli della mano sinistra, invece, cercano di farlo attraverso rituali di tipo sessuo yogico, in cui la Shakti risulta essere la donna. E qui entra in gioco la dea Kali...

Come accennato prima, al centro del rituale tantrico sta una dea (discendente del culto arcaico della Grande Madre) detta la "nera". Questa dea è Kali, una delle tante mogli di Shiva. Si parla, infatti, di "nozze Shiva-Shakti" quando si raggiunge l'illuminazione.

Queste "nozze" avverrebbero allorché Kundalini, quest'immensa energia, arrivasse a toccare, dopo tutti i centri energetici (chakra) situati sulla colonna vertebrale, quello più importante situato sulla sommità del capo, dove purusha, la coscienza, si riunirebbe (sarebbe più esatto dire riassorbirebbe) alla prakriti, l'energia. Allora, dicono i testi, il mondo illusorio, fenomenico, cesserebbe di esistere e l'uomo si risveglierebbe nella vera realtà.

Per compiere quest'impresa, pericolosissima per certi aspetti (perché un controllo imperfetto dell'energia Kundalini porterebbe alla pazzia, alla paralisi, se non addirittura alla morte), i seguaci della via della mano sinistra passano da una visione "personale" a una "impersonale", dell'energia prakriti. Per far questo eseguono dei rituali che li trasportano dalla visione di Kali (personale) a quella di Shakti (impersonale). La donna rappresenta la Shakti perché risveglia Kundalini.

Si potrebbe dire che i seguaci della via della mano sinistra hanno bisogno di una sua concretizzazione esterna
, mentre quelli della mano destra no.

Perché, però, la rappresentano, inizialmente, in un modo così terrificante, qual è Kali?

Sarebbe un errore soffermarsi solo sui suoi aspetti macabri. Questa rappresentazione, oltre a essere carica di significati esoterici, ha lo scopo di allontanare ignoranti e codardi. Proprio perché i pericoli di questa pratica sono immensi, occorre che ci si avvicinino solo coloro in possesso della saggezza e della forza necessari a coronare con successo tale impresa.

La differenza sostanziale che il Tantrismo ha con le altre forme religiose indiane, a parte la pericolosità, sta nel fattore "tempo". Esso promette una realizzazione immediata, non rimandata dopo anni e anni di dure discipline.

Inoltre, interpreta diversamente il "desiderio". Il Tantrismo sfrutta la potenza generata da quest'ultimo per elevare lo spirito, non la elimina.

"Si dice che lo yogin non può godere (del mondo) e che colui che ne gode non può conoscer lo yoga, ma nella vita dei Kaula (gli adepti della via della mano sinistra), vi è nello stesso tempo bhoga (godimento delle esperienze del mondo) e yoga."

Il Tantrismo promette la perfezione interiore a coloro che saranno in grado, grazie al loro coraggio, di andare fino in fondo ai loro desideri.

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(5) Gnosticismo: tendenza religiosa di tipo sincretistico che ebbe grande diffusione agli inizi dell'era cristiana, le cui complesse diramazioni sono tutt'ora discusse e non sufficientemente chiarite. L'uomo, secondo questa dottrina, ha in sè una scintilla luminosa imprigionata nella materia, che può essere liberata dalla gnosi (greco: suprema conoscenza).

c) Il Sikhismo.

c) Il Sikhismo.

E' un movimento religioso che nacque agli inizi del 16°sec.d.C. dalla predicazione condotta da un guru di nome Nanak. I suoi seguaci si definirono appunto Sikh, che vuol dire discepoli. Egli ebbe 9 successori, l'ultimo dei quali decise di nominare non un uomo, bensì un libro, l'Adi Granth, opera di vari mistici e guru.

La tradizione vuole che Nanak sia stato allievo del poeta e mistico Kabir, a lui contemporaneo, insigne esponente del movimento devozionale della Bakhti, da cui nacque appunto il Sikhismo, che rappresenta un tentativo di sintesi tra Induismo e Islam, su base monoteistica.

L'universo e la molteplicità degli esseri non sono che un riflesso dell'Essere Supremo. L'uomo ha la possibilità di purificarsi conducendo una vita integra e onesta, vincendo il proprio egoismo e rinunciando ai vizi.

I Sikh sostengono la necessità di superare le barriere castali. Nelle loro preghiere invocano Dio usando sia appellativi induisti che islamici.

Hanno, col tempo, assunto una struttura marziale, a carattere militaresco, per via delle persecuzioni a cui furono sottoposti dagli imperatori mussulmani mongoli.


I loro peculiari segni distintivi sono:

-il turbante;
-barba e capelli mai tagliati, questi ultimi raccolti sotto il turbante;
-pettine in legno;
-un piccolo pugnale, che annodano fra i capelli;
-un braccialetto di ferro;
-pantaloni corti alle ginocchia.

d) Il Buddismo.

d) Il Buddismo.

LA VITA DI BUDDHA:

(vero nome Siddharta Gautama) si suddivide
in quattro fasi:

1) nascita e infanzia;
2) cammino verso l'illuminazione;
3) Predicazione;
4) fine della vita terrena ed entrata nel parinirvana.

Il principe Siddharta trascorse i suoi primi 29 anni nel lusso e nelle gioie proprie del suo rango, finchè non si imbattè prima in un vecchio sofferente, poi in un ammalato, infine in un morto. Un successivo incontro con un eremita segnò la svolta definitiva della sua vita: Siddharta, scosso nel profondo del suo animo, abbandonò gli agi e il lusso per andare alla ricerca del senso della vita e, soprattutto, della sofferenza.

Dopo un primo approccio alla filosofia indù, sotto la guida di due famosi brahmani, deluso preferì passare alla pratica e si ritirò nella foresta. Qui, assieme a cinque samana, si sottopose a una rigidissima disciplina ascetica, nel corso della quale, secondo la tradizione, per sei anni si nutrì esclusivamente di un solo chicco di riso al giorno. Deluso però anche da questa pratica, che non gli portò i risultati sperati, si staccò dagli asceti e, ormai 35enne, decise di sedersi sotto un albero di fico e meditare incessantemente, finchè non avesse raggiunto la comprensione della sofferenza.

Raggiuntala nel giro di una notte, nel corso della quale superò le ultime tentazioni di Mara (il diavolo dei buddhisti), decise di diffondere il suo messaggio di salvezza agli uomini e si incamminò verso la città santa di Benares, dove predicò il suo primo sermone. Durante i suoi 45 anni di viaggi di predicazione, si convertirono al suo insegnamento numerose persone e fondò molte comunità (sangha) di monaci (bikkhu).

Alla sua morte, avvenuta a 80 anni, la sua salma venne cremata e le ceneri disputate tra i discepoli, che li divisero fra i 9 regni in cui il Buddha aveva predicato, i quali fecero edificare, su di esse, dei tumuli funebri (stupa), venerati tutt'ora. Oltre a questi, tuttavia, sorsero in seguito molti altri tumuli, non contenenti però l'urna funeraria.

SCUOLE E CORRENTI: i primi buddisti erano tutti monaci organizzati in comunità, la cui esistenza dipendeva dalle offerte dei fedeli. Dopo la morte di Buddha, tuttavia, la religione da lui fondata si divise in tante sette diverse, che poi hanno formato, verso la fine del primo secolo a.C., due grandi rami, detti il Piccolo Veicolo e il Grande Veicolo. I fedeli del primo seguono le tradizioni del Buddhismo antico, non hanno introdotto innovazioni di sorta. Quelli del secondo, invece, danno meno importanza alla regola monastica, estendendo la loro dottrina anche ai laici.

Per il Piccolo Veicolo, infatti, la salvezza è concessa solo ai monaci, mentre nel Grande tutti possono aspirarvi, purchè devoti ai salvatori, rappresentati da Buddha e dai vari Bodhisattva.

Questi ultimi rappresentano un'ennesimo punto di scissione: se l'ideale di vita dei seguaci del Piccolo Veicolo era l'Arhat, il santo che isolato dal mondo raggiunge la salvezza nel nirvana e parinirvana, quello dei seguaci del Grande Veicolo fu, invece, il Bodhisattva, cioè il santo che rinuncia, anche se realizzato nel nirvana, alla propria completa salvezza, che si realizza entrando nel parinirvana, per amore del genere umano sofferente, che aiuta, promettendo di reincarnarsi, fino a quando tutto il genere umano non lo avrà raggiunto. Solo allora potrà entrare nel parinirvana, cioè non reincarnarsi più.

Come è evidente, questa dottrina dà molta importanza alla compassione, la quale non è ritenuta così importante, invece, nella dottrina del Piccolo Veicolo. Forse è per questo che ebbe maggior diffusione fra gli strati popolari, che riempirono il pantheon buddhista, fino ad allora vuoto, delle figure di questi Bodhisattva. I Dalai Lama sono, per esempio, Bodhisattva, ma appartengono a una forma di Buddhismo particolare, quello tantrico, chiamato Veicolo di Diamante o Lamaismo. Esso è l'aspetto esoterico del Buddhismo classico. Si sviluppò in Tibet, ma vi fu importato dai missionari indiani, nell' 8° sec.d.C, dove non ebbe difficoltà ad integrarsi con la primitiva religione sciamanica dei Bon (gli antichi rituali sciamanici ben si accordavano con i rituali magici del Tantrismo). Fu grazie alle traduzioni operate dai monaci, che per l'occasione crearono la lingua scritta tibetana (tutt'ora in uso), degli antichi manoscritti buddhisti, cui la maggior parte degli originali andò distrutta dalle invasioni mussulmane del 12°sec.d.C., se oggi noi possiamo conoscere questa dottrina. Gli storici si basano, tuttora, su queste.

Il Buddhismo quindi, nato in India, scomparve quasi del tutto dalla terra d'origine, poichè soppiantato ancora una volta dall'Induismo, in compenso però si diffuse in tutto il mondo, grazie all'opera paziente dei Lama tibetani.

LE STRADE PER ARRIVARE ALLA LIBERAZIONE: per tutti i tipi di Buddhismo resta valido l'insegnamento di Buddha, che si dispiega nell'enunciazione delle 4 nobili verità, nei 5 precetti e nel nobile ottuplice sentiero che ne derivano (quest'ultimo punto è infatti compreso nella quarta verità, il secondo: una specificazione del terzo e quarto sentiero). Differenze ci sono, semmai, nel modo di interpretarlo: il Piccolo Veicolo, per esempio, considera il samsara in antitesi al nirvana, mentre, per il Grande Veicolo, samsara e nirvana sono due aspetti della stessa realtà, dell'"essenza del vuoto"; ma andiamo con ordine.

La prima verità enunciata da Buddha dice che, tutto nella vita è sofferenza.
La seconda spiega che, questa nasce dai desideri insoddisfatti.
La terza, invece, asserisce che la sua fine viene solo con l'eliminazione dei medesimi.
La quarta, infine, espone la via della liberazione, che è la via di mezzo, cioè il nobile ottuplice sentiero:

-retta fede,
-retta volontà,
-retto linguaggio,
-retta azione,
-retta vita,
-retta applicazione,
-retta concentrazione e
-retta meditazione.

Ai 5 precetti, prima menzionati, se ne aggiungono altri 5 per i monaci, facoltativi per i laici. Questi, che riguardano il rispetto della vita, ricordano molto i 5 precetti del Giainismo e quelli dello Hata-yoga.(1)

Dall'ignoranza nascono le tre radici del male: cupidigia, odio e opinioni sbagliate, che tengono legato l'uomo, il quale, per soddisfare i desideri non realizzati in vita, è spinto a rinascere più volte. Attraverso il nobile ottuplice sentiero egli può, però, arrivare al nirvana, cioè alla condizione di non desiderio, attraverso il quale, dopo la morte, non sarà più costretto a rinascere; entrerà cioè nel para-nirvana.

L'eliminazione del dolore coincide, quindi, con l'interruzione del flusso continuo di mutamenti: la morte fisica, però, annulla l'individualità, ma non l'eternità degli atti compiuti e i loro effeti; quindi è necessario arrivare a superare anche quest'ultima, attraverso, appunto il nobile ottuplice sentiero, chiamato anche la "via di mezzo" perchè non vuole un ascesi rigida, tipica invece dello yoga classico, ma più dolce, "mitigata".

Fin qui tutto è molto simile all'Induismo, le differenze sostanziali con questo sono, difatti, altre. Prima di tutto l'accento che il Buddhismo pone sull'amore (che lo fanno essere, in ordine cronologico, la prima religione incentrata sulla fratellanza), se nel Piccolo Veicolo questo concetto ha un'importanza più limitata, nel Grande investe tutto il sistema etico. Poi la concezione del Brahman e dell'atman. Il Buddha si è sempre rifiutato di rispondere alla domanda se esistesse o meno un Dio trascendente, non ritenendo questa conoscenza utile ai fini della liberazione. Quindi, il nirvana dei buddhisti, risulta essere diverso dalla nozione di liberazione propria degli indù. Questi la considerano un'"unione", un "riassorbimento" in un principio supremo; mentre, i buddhisti, la vedono più come una "cessazione" di tensioni interne.

Anche l'atmam, cioè la vera realtà dell'uomo, è concepito in maniera differente: i buddhisti rifiutano la nozione di Sè e parlano di un non-Sè (Anatta); viene negato il concetto di individualità, di un "io" come entità eterna e assoluta, a favore della concezione di "vacuità universale", secondo cui il nucleo centrale dell'uomo, la sua vera natura, sarebbe il vuoto.

Ciò deriverebbe dal fatto che, sia il mondo, sia l'Io fenomenico che lo percepisce, altro non sarebbero se non il risultato dell'unione di vari elementi che, al momento della morte, si dissolverebbero per ricomporsi nuovamente al momento della rinascita. Questi elementi andrebbero a costituire i 5 skandha (sanscrito: aggregati), cioè i 5 possibili modi di essere della realtà: materia, sensazione, idea, emozione e coscienza.

Entrambi questi pensieri religiosi, comunque, concordano nell'affermare che l'illuminazione sia conoscibile solo attraverso esperienza diretta, il che fa capire come queste divisioni siano solamente apparenti, frutto di speculazioni filosofiche.

Infine, diciamo che, qualunque sia il veicolo intrapreso, per accedere al nirvana anch'esso va abbandonato. La liberazione, cioè, implica il superamento della stessa dottrina. Fu Buddha a spiegare che "la zattera non va portata con sè, una volta raggiunta l'altra sponda, ma va abbandonata".

LA MEDITAZIONE: particolare menzione merita la meditazione (momento culmine del nobile ottuplice sentiero), in cui si arriva all'apice della beatitudine, si acquistano poteri occulti e conoscenze trascendentali. Essa è caratterizzata da 4 stadi, che ricordano i tre dello Yoga.

Il primo è caratterizzato dalla riflessione razionale su un oggetto religioso,
nel secondo qusta attività cessa e si è in contemplazione,
nel terzo svaniscono anche i sentimenti e, infine,
nel quarto, dopo aver superato l'emotività e trasceso il razionale, si entra in uno stato di imperturbabilità assoluta.

Il Buddhismo Zen (meditazione) le attribuisce molta importanza. Il Buddhismo tantrico dà importanza, invece, anche ai sensi. Il suo tipo di meditazione si avvale, infatti, di supporti corporei, magici ed esoterici, come mantra, mudra, yantra, mandala e lingam. Niente a che vedere, per esempio, coi Koan del Chan cinese (aneddoti paradossali finalizzati alla concentrazione).


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(1) Vedere tavola comparata nell'ultimo capitolo.

e) Il Giainismo.

e) Il Giainismo.

Chiamato anche Jainismo, i seguaci sono chiamati jaina (sanscrito) da Jina (il vincitore), l'appellativo dato a Vardhamana, colui il quale fondò questa corrente mistica, ed appartengono per lo più alle classi alte dell'India e a circoli più o meno esclusivi: ciò spiega la grande influenza che essi esercitano sulla società indiana, nonostante ne costituiscano solo lo 0,5%.

Vardhamana, chiamato anche Mahavira (grande eroe), nacque da una coppia di nobili (ksatriya) e, dopo essersi sposato, a 28 anni lasciò la moglie e la figlia per dedicarsi alla vita religiosa itinerante e a rigide pratiche ascetiche. Fu all'età di 40 anni che venne salutato come Jina, titolo conferito alle più grandi figure della storia spirituale indiana. Cominciò a raccogliere attorno a sè numerosi discepoli e intraprese lunghi pellegrinaggi, dedicandosi alla predicazione.

Egli riprese l'insegnamento di un altro maestro jaina (il 23°), vissuto prima di lui, rispetto al quale è considerato, infatti, il 24° e ultimo.

La concezione giainista dell'universo è vicina a quella dualista del sistema Samkhya
, da cui si distingue, però, per l'idea che ha di anima: nel dualismo giainista essa non è un principio inattivo, come invece purusha.

Questa corrente, inoltre, è vicina anche al Buddhismo: anch'essa rigetta i Veda e l'autorità sacerdotale, anch'essa è ateista (non concepise cioè un Dio unico, un Assoluto, ed anche gli dei sono soggetti al karma e al samsara). Per quanto riguarda, però, la durezza delle discipline ascetiche, se ne distacca e si avvicina di più allo yoga classico.

Attraverso i tre gioielli, retta fede, retta conoscenza, retta vita, è possibile superare la legge del Karma e il samsara. La concezione di Karma, però, è, rispetto ad altre correnti, molto particolare: il Giainismo è il primo a parlare di Karma-materia. L'anima, a causa delle passioni non controllate, lascia sì che la materia sottile, di cui queste sono costituite, si appiccichi a sè (legatura). Questa materia sottile, poi, va a costituire 8 tipi di Karma, che oscurano e disturbano la capacità conoscitiva e l'integrità dell'anima stessa, che è costretta a rinascere sotto l'impulso del corpo karmico (energetico). Per ciò, Jina afferma che le passioni vanno tenute sotto controllo, in modo tale da impedire l'entrata, nell'anima, del karma, il quale si estingue da sè, ma in modo più veloce se l'uomo compie duri esercizi ascetici. L'anima liberata conserva la sua coscienza (qui differisce sostanzialmente col Buddhismo), possiede inoltre conoscenza infinita, forza e gioia, e va a dimorare in un luogo al di sopra dei cieli, con altre anime liberate.

L'etica giainista è regolata da 5 voti:
1) ahimsa, assoluta non violenza e rispetto per qualsiasi forma di vita;
2) sincerità;
3) rispetto per la proprietà altrui;
4) castità;
5) non attaccamento ai beni materiali.

Per la comunità monastica è obbligatorio attenersi a tutti e 5, mentre per i laici, gli ultimi due sono facoltativi. Comunità monastica e popolo laico sono stretti da un legame inscindibile. Solo i laici, infatti, possono tributare il culto a Jina.

Verso la fine del 1°sec. d.C., causa divergenze interne alla dottrina, la comunità dei jaina, come capitò anche ai buddhisti e ai sikh, si scisse in numerose correnti.

Le più importanti sono due: i Digambara (letter."vestiti d'aria"), più conservatori, e gli Svetambara (sanscrito:"vestiti di bianco").

La rigorosa osservanza del primo precetto (ahimsa) ha influenzato nel corso dei secoli, e influenza tuttora, ogni aspetto della vita, anche professionale, dei jaina. Poichè vengono considerate forme viventi anche le particelle degli elementi di base (terra, aria, acqua), ai seguaci del Giainismo è preclusa tutta una serie di attività lavorative: la maggior parte si è dunque indirizzata verso attività commerciali o di tipo accademico, il che spiega come mai vi siano tanti giainisti di successo e con ricchezze, in campo finanziario e commerciale. In quello politico, invece, sono tradizionalmente di vedute liberali.

IL PUNTO DI VISTA DI SAI

"IL PUNTO DI VISTA DI SAI"

Occorre premettere che il pensiero di Sai Baba non è molto diverso da quello induista e buddista. L'unica differenza è che egli cerca in tutti i modi di eliminarne le disuguaglianze, asserendo che Dio è Uno e le divisioni sono solo apparenti. Cerca, inoltre, di far altrettanto con tutte le altre fedi, le quali, però, vengono inevitabilmente rivalutate sotto un'ottica indu'-buddista.

In pratica il suo pensiero si snoda in due filoni: uno filosofico, volto a riaffermare l'unità di tutte le religioni e di tutti i credi (potremmo chiamarlo Religione Universale) e uno pedagogico, volto a riaffermare l'unità di tutti i popoli e di tutte le nazioni.

Cercherò ora di esporre, in modo dettagliato ed esauriente, questi due argomenti.

Nello sviluppare gli stessi, soprattutto nel pensiero pedagogico, ho ritenuto opportuno riportare interi passi, di spiegazioni o chiarimento, dello stesso Sathya Sai. Questo per due motivi: sia perchè è un linguaggio il suo estremamente chiaro e descrittivo, sia perchè un mio commento personale avrebbe potuto offuscare il suo vero pensiero, che ho preferito invece riportare in modo integro. Questi passi sono racchiusi fra le virgolette.

a) Il Pensiero Filosofico.

a) Il Pensiero Filosofico.

Sai Baba afferma che l'uomo porta dentro di sè Dio e che, per realizzarlo, altro non deve fare che eliminare quegli ostacoli che gliene impediscono la visione.

Questi ostacoli sono raggruppabili in una sola parola: Ego, ossia l'errata concezione che abbiamo del mondo e di noi stessi. La sensazione di essere separati da Dio, o di essere soltanto un corpo, è Ego ed è da ciò che derivano tutti i vizi (l'egoismo, l'invidia, la gelosia, ecc.) che portano l'uomo alla perdizione ed alla sofferenza.

Occorre qui chiarire il termine, in quanto perdizione, per gli indiani, non significa dannazione eterna. Come abbiamo già visto, essa è la perdita nella ruota del ciclo delle morti e rinascite, per cui lo spirito si trova costretto a dover sottostare alle leggi del Karma e, di conseguenza, a soffrire. L'Ego, per Sai Baba, è prodotto dall'attaccamento ai beni terreni e, quest'ultimo, è generato dai desideri.

Per arrivare alla liberazione occorre, quindi, eliminare l'Ego, l'attacamento, cioè i desiseri, attraverso una disciplina purificatoria. Tutte le religioni sono, per Sai Baba, ugualmente valide per arrivare a far ciò, a patto che siano interpretati nel modo giusto gli insegnamenti propri di ciascuna. Il concetto fondamentale, su cui si fonda questa sua religione universale, è l'identificazione del proprio Sè interiore con Dio e il riconoscimento della sua immanenza. Tutto il resto viene di conseguenza.

La disciplina purificatoria, qualunque essa sia (dalla meditazione yogica, alla preghiera cristiana o mussulmana), deve arrivare a pulire la mente dai desideri, in modo che vi sia spazio anche per Dio, solo così Egli può rivelarsi nel cuore dell'uomo e renderlo strumento di salvezza per altri
(notare la similarità di questo cocetto con quello del deposito dei sufi).



L'aldilà, per Sai Baba, è uno stato della mente, così come l'universo fenomenico, mentre Dio è uno stato di consapevolezza più profonda. Ecco spiegato perchè, all'entrata del tempio di Prasanthi Nilayam, sta scritto: "solo nel silenzio si può udire la voce di Dio". Per realizzare Dio bisogna, in sostanza, interrompere il movimento della mente; ma chi è Dio?

Dio è: Sat-Cit-Ananda, cioè essere-conoscenza-beatitudine, come abbiamo già visto nella parte dedicata all'Induismo, cioè Coscienza Universale, l'insieme di tutti i Sè individuali. "In realtà", dice Sai Baba, "il Sè è la stessa Coscienza Universale. Non esistono dei Sè individuali. Si parla di Sè individuali soltanto per comunicare. La Coscienza è una sola, unica per tutti e da questa deriva tutto ciò che vediamo, tutto ciò che cade sotto i nostri sensi. L'anima è in ognuno vasta e illimitata. Noi immaginiamo che l'atman sia in noi. No! Noi siamo nell'atman, esso non è in noi (6). Tutti gli esseri sono vivi ed attivi, si muovono, si riposano, nell'onnipervadente atman. Noi siamo tutti nella sala, non è la sala ad essere in noi. Dire che l'atman è in me o in te è dichiarare la nostra ignoranza spirituale". Il Sè è quindi immanente: è presente in ogni cosa, nel micro come nel macro. La più piccola particella nucleare è Coscienza Universale, così come l'uomo, l'asino, la cicala, le piante, i sassi, ecc.

"Quello che vediamo sono soltanto nomi e forme diverse della medesima Coscienza. L'universo intero e tutto ciò che esso contiene ne è un'appendice. Noi tutti siamo soltanto degli strumenti di questa Coscienza".

Sai Baba continua affermando che l'uomo è una proiezione di Dio: la nostra intelligenza e la nostra coscienza individuale, in realtà, non sono altro che Dio stesso limitato nelle sue espressioni dal corpo fisico. In altre parole noi siamo Dio incarcerato in un corpo fisico. Noi siamo la Coscienza Universale limitata.

Dice ancora Sai Baba che tra noi e Dio esiste soltanto il velo di Maya, ma che essa non esiste finchè non la cerchiamo:


"L'immagine del vostro viso è dentro al pozzo soltanto quando voi guardate al suo interno per scoprire se la vostra faccia è lì o non è lì".


In altre parole, il mondo manifesto esiste soltanto in funzione della nostra testimonianza.

Se l'osservatore non testimonia, l'universo non appare
;

se la testimonianza cessa l'universo scompare:


"Se improvvisamente tutti gli uomini smettessero di pensare,
l'universo sparirebbe di colpo".


La realtà, così concepita, risulta essere il frutto della nostra immaginazione, tanto più reale quanto più noi ci attacchiamo ad essa (7).

La creazione però, dice sempre Sai Baba, non è una vera creazione, ma soltanto un riflesso: "Dio non ha creato, altrimenti avrebbe duplicato se stesso (ricordiamo che Dio è Uno): si è semplicemente riflesso". Baba porta l'esempio dell'oceano e delle onde: "L'oceano è Dio e voi siete le sue onde. Che differenza c'è fra l'acqua dell'oceano e quella dell'onda? L'unica differenza sta nel movimento, il quale crea l'onda che sembra essere diversa dal resto dell'oceano.

L'unica differenza tra Dio e l'universo (quindi anche l'uomo) è che la Coscienza Universale è immobile, mentre quella individuale è in movimento. Il movimento crea la manifestazione fenomenica. Quando la Coscienza Universale è immobile, è Dio, Assoluto. Quando si mette in movimento, forma l'universo che vediamo. Basta spegnere il movimento per tornare ad essere Dio".

In altre parole, quando lo stato coscienziale primitivo dell'Assoluto cambia, si entra in un diverso stato coscienziale che chiamiamo vita. Per ritornare allo stato coscienziale primordiale, dobbiamo abbandonare lo stato di coscienza chiamato vita e rientrare in quello chiamato divino. Cosa impedisce il passaggio? La mente.

Questa forma attorno a sè una corazza di concetti, i quali si formano grazie ai desideri. Più desideri ci sono più concetti vengono elaborati e la mente si ingrossa impedendo il passaggio. "Spegnete i desideri", dice Sai Baba "e l'universo sparirà, ciò che apparirà sarà allora soltanto la vostra stessa Divinità. I desideri sono il grande ostacolo alla realizzazione della Divinità" (8).

Per Baba, tutto ciò che percepiamo coi nostri organi sensoriali è concettuale, non è la realtà vera. Se lo fosse non si modificherebbe nel tempo: ciò che si modifica, infatti, non può essere reale in senso assoluto.

Che cos'è allora che si modifica? Si modifica qualcosa di non reale, un'immagine, un miraggio, un'illusione. Il mondo è illusorio proprio perchè si modifica ed essendo illusorio non può che essere una concettualizzazione, cioè il risultato di alcuni concetti elaborati dalla stessa Coscienza Universale. Quindi l'unica cosa reale, che non si modifica nel tempo, è il Sè, mentre l'universo manifesto non è che un concetto dello stesso Sè, un sogno.

Per arrivare a percepire Dio, ad essere Dio, Sai Baba dice: "Se voi mettete dell'acqua di sorgente in un secchio sporco, l'acqua si sporcherà.

Per avere dell'acqua pulita bisogna prima pulire bene il secchio. Il secchio è la mente: se volete che la purezza di Dio vi sia manifesta, lavatela dai desideri, dagli attaccamenti terreni, dai concetti fasulli e illusori del vostro Ego."

Sempre secondo Sai Baba, inoltre, Dio chiama sempre a sè l'uomo, ininterrottamente, anche se questi non lo sente:


"La calamita attira sempre il ferro, ma come volete che il ferro ne sia attratto se è coperto da ruggine? Così anche voi, non potete essere attratti da Dio se siete coperti dalla ruggine dei desideri, ma Egli vi attira sempre a Sè".


Tuttavia, il vaso, per accogliere l'esperienza della Divinità, dev'essere vuoto di vizi, ma anche di virtù. Ci si potrà stupire, ma, secondo l'ottica di Sai Baba, per arrivare al di là delle apparenze, quindi a Dio, l'agire deve essere senza aspettative. Bisogna agire cioè senza preoccuparsi delle reazioni, dei frutti e dei risultati (Karma-yoga). In questo senso è da intendere il trascendere anche la virtù: essa non deve costituire una finalità che alimenta l'attaccamento al risultato del proprio agire.

Qualcuno potrebbe scandalizzarsi, ma, per Sai Baba, la strada che porta a Dio non è quella del superamento del vizio, bensì quella del distacco:


"Il distacco è la chiave d'oro che porta alla Liberazione".


"Solo eliminando le tre Guna dal nostro carattere possiamo sbarazzarci dell'illusione. Perchè anche Sattva va trascesa? La Gita afferma che persino la sete di liberazione è un legame. In realtà siamo già liberi ed il legame è solo un'illusione; pertanto il desiderio di scioglierlo è dovuto all'ignoranza" e l'ignoranza è un legame.

La ricerca spirituale è fatta di gradualità, il primo gradino è legato al Dio formale, all'immagine e al ritualismo, alla preghiera e al canto; il secondo, invece, al Dio informale (senza forma), l'Assoluto. Così da principianti si diventa devoti e, infine, ricercatori puri. Il principiante avrà bisogno di esteriorità; il devoto servirà gli altri, riconoscendo in tutti la medesima coscienza universale; mentre il ricercatore non avrà più bisogno di esteriorità o di servire, perchè avrà scoperto il gioco degli stati coscienziali.

Ogni centro Sai cerca di fornire la possibilità di passare da principiante, a devoto, a ricercatore. Sai Baba propone delle pratiche molto semplici: il canto sacro, la meditazione, la recitazione e ripetizione del Nome di Dio, il servizio disinteressato ai bisognosi, ecc. Senza per questo, tuttavia, denigrare altri culti, ma cercando, invece, di spingere le persone a riscoprire i Valori propri della religione a cui appartengono, poichè tali valori sono, alla fin fine, identici per tutte: ogni religione, cioè, è un sentiro che conduce a Dio.


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(6) Anche Plotino affermava che non erano le anime ad essere nei corpi, ma che erano i corpi
ad essere nell'Anima.
(7) "Il mondo è una mia rappresentazione...il mondo circostante non esiste se non come
rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percepiente,
con lui medesimo".
Arthur Schopenhauer
(8) "Un solo libero sguardo gettato sulla natura è sufficiente a rianimare, a rallegrare ed a
riconfortare ad un tratto chi si agita nel tormento delle passioni, delle necessità e delle pene:
la tempesta delle passioni, l'impulso del desiderio e del timore, in una parola tutti i tormenti
che affliggono la volontà vengono messi a tacere come per incanto. Infatti nel momento
stesso in cui, liberi dalla volontà, ci si abbandona alla conoscenza pura ed esente dal volere,
si entra, per così dire, in un altro mondo dove non esistono più elementi che possano,
suscitando il desiderio, eccitare violentemente gli animi".
Arthur Schopenhauer